Il punto sul crollo della diga di Kakhovka in Ucraina

di Andrea Della Corte

Nella notte tra il 5 e 6 giugno ’23 il muro di contenimento della diga di Nova Kakhovka è crollato. Le responsabilità non sono ancora chiare, ma ciò che è certo è la gravità della crisi che ci aspetta.

Nella notte tra il 5 e il 6 giugno ’23 è crollata una parte della diga di Nova Kakhovka aprendo un varco di circa duecento metri nella zona centrale del muro di contenimento. Costruita negli anni ’50 del secolo scorso per alimentare la centrale idroelettrica di Kakhovka, è alta trenta metri ed il suo bacino riesce a contenere diciotto milioni di metri cubi d’acqua, lo stesso volume del Great Salt Lake nello Utah. La diga si trova a trenta chilometri dalla città di Kherson, fornisce l’acqua di raffreddamento per i reattori della centrale nucleare di Zaporizhzhia ed è fonte di rifornimento idrico per la Crimea annessa alla Russia dal 2014. Essa inoltre approvvigiona i sistemi di irrigazione di ben 584mila ettari di terreni coltivati a cereali, semi oleosi, ma anche frutta e verdura nell’Ucraina meridionale. Il crollo della diga ha determinato l’inondazione delle regioni a valle del fiume Dnepr colpendo una popolazione già stremata dalla guerra.

Se il Viceministro degli Esteri ucraino, Andrij Melnyk, ha definito il crollo della diga quale “peggior disastro ambientale in Europa dai tempi di Chernobyl”, Kiev e Mosca si fronteggiano con il consueto scambio di accuse reciproche. Nel messaggio diffuso su Telegram la notte stessa del crollo, il Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha parlato di terroristi russi che hanno provocato un’esplosione interna alla diga. Dall’altra parte il Ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ha accusato l’Ucraina di aver operato la distruzione in quanto parte integrante della tanto annunciata controffensiva di primavera. Gli analisti militari ritengono più probabile una responsabilità russa nella faccenda.

L’inondazione causata dal crollo della diga rende impossibile, quantomeno nel breve periodo, l’attraversamento del fiume Dnepr da parte delle forze ucraine. Ciò consente ai russi di avere un certo periodo di tempo per riorganizzare le loro forze sul campo. Una strategia che ne ricorda tante altre operate in passato in simili contesti di guerra. È altrettanto vero che il danneggiamento della diga causa difficoltà di approvvigionamento idrico per la penisola di Crimea, questo potrebbe far pensare ad un eventuale coinvolgimento ucraino. Tuttavia rimane da chiedersi se Kiev sia stata disposta ad accettare un disastro di enorme portata, in un momento così cruciale per il conflitto, pur di assetare la Crimea.

Oltre alla responsabilità di una delle parti il motivo che potrebbe spiegare il crollo è il cedimento strutturale. Infatti la diga nei primi mesi di guerra fu danneggiata da esplosioni nelle sue prossimità, mentre ultimamente il suo invaso conteneva livelli d’acqua impressionanti sia a causa delle piogge sia a causa delle poche paratoie lasciate aperte dai russi per il deflusso della stessa. Quindi la presenza di danni mai riparati congiunta con l’elevata pressione dell’acqua avrebbe potuto causare lo squarcio nel muro di contenimento determinando il crollo.

Certamente si avrà modo e tempo per accertare le eventuali responsabilità, ma ciò che conta adesso è cercare di capire quali sono le conseguenze del disastro. Dapprima si stima che la popolazione colpita ammonti a circa quarantamila persone tra la sponda occidentale ed orientale del fiume Dnepr. Le autorità di Kiev sono immediatamente intervenute procedendo all’evacuazione di migliaia di persone e decine di villaggi e città, mentre sull’altra sponda del fiume sembra che le autorità russe si siano mosse molto più lentamente. Allo stesso tempo le ONG specializzate in queste emergenze sono accorse per fornire assistenza umanitaria ai civili colpiti.

Inoltre vi è preoccupazione per la centrale nucleare di Zaporizhzhia che mantiene ancora due dei suoi sei reattori in attività, ma l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) ha affermato che attualmente non vi sono rischi per la sicurezza nucleare dell’impianto.

Un ultimo aspetto da considerare è il danno ambientale che l’inondazione sta causando e che avrà effetti nel lungo periodo. L’inondazione di vasti territori coltivati determinerà una grave crisi nella produzione cerealicola e non solo. Gli effetti di tutto questo li sentirà sia la stessa Ucraina che si vede privata di una fondamentale fonte economica a causa dell’inevitabile diminuzione delle esportazioni, sia i paesi dipendenti dal grano ucraino per la loro stessa sussistenza e di riflesso anche l’Occidente che dovrà sostenere l’Ucraina con sforzi ancora maggiori. Basti pensare all’aumento del prezzo del grano immediatamente dopo la diffusione della notizia del danneggiamento della diga.

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