Luddite Club, quei giovani che dicono no a smartphone e social
di Carlotta Cappelli
Mentre non si fa altro che parlare della “corsa all’intelligenza artificiale” e ogni giorno spuntano nuove applicazioni che ci consentono di trasferire nel mondo virtuale ogni aspetto della nostra vita, un gruppo di adolescenti ha deciso di abbandonare ogni tipo di tecnologia e “riconnettersi” alla realtà. Il movimento, battezzato “Luddite Club”, ha sorpreso molti, soprattutto perché composto dai più giovani “nativi digitali”.
L’idea nasce dall’allora quattordicenne Logan Lane, studentessa liceale di Brooklyn: la ragazza capisce di essere diventata dipendente dai social network, passando le giornate ad ammirare (ed invidiare) le vite, apparentemente perfette, delle giovani influencer dall’aspetto puntualmente impeccabile e i vestiti infallibilmente alla moda. L’americana, quindi, decide di dire addio allo smartphone un giorno del 2020, nel pieno del confinamento Covid quando la tecnologia era diventata l’unica forma di “contatto” umano.
Da quel momento Logan inizia a leggere, cucire, fare attività all’aria aperta e frequentare posti nuovi. Ed è proprio in una di queste occasioni, durante un concerto, che conosce Jameson, una giovane che aveva intrapreso la sua stessa strada controcorrente. Così le due iniziano a incontrarsi alla Central Library di Brooklyn, dove col tempo fanno amicizia con altri loro coetanei che condividevano gli stessi ideali. Ecco che oggi la biblioteca è diventata il punto di ritrovo dei ‘Luddisti’, chiamati così dalla madre di Logan, che in questo modo li paragona al movimento ottocentesco fondato in Inghilterra da Ned Ludd, il quale distrusse un telaio per protestare contro le macchine che riteneva minacciassero il lavoro degli operai, diventando un simbolo della resistenza nei confronti della tecnologia.
Il gruppo di adolescenti passa il tempo disegnando, suonando la chitarra, prendendo il sole sulle amache d’estate, insomma, come afferma la stessa Jameson: «con metodi sani, non negativamente incisivi sulla nostra mente».
C’è chi li accusa di aver fatto una scelta troppo radicale o addirittura di star fomentando loro stessi una nuova moda; eppure il problema della dipendenza da smartphone è reale, come dimostrano alcuni studi: una recente indagine, effettuata dall’osservatorio sulle tendenze giovanili che analizza il comportamento degli adolescenti online, ha mostrato, tra le altre cose, come il 39,4% dei ragazzi trascorra sui social media più di tre ore al giorno, percentuale che si è incrementata del 13,7% rispetto al 2019. Inoltre, solo tre adolescenti su dieci riescono a resistere oltre un giorno senza utilizzare i social media. Dato confermato da Telefono Azzurro che ha presentato un report nel quale il 34% degli intervistati ha confessato di provare panico all’idea di staccarsi dal telefono.
Un progetto dell’Università San Raffaele di Milano chiamato SatisFACE ha indagato sul rapporto tra l’utilizzo delle tecnologie digitali e l’immagine che si ha di sé stessi, addentrandosi negli effetti dell’iperconnessione. Dall’inizio della ricerca, nella primavera 2022, è emerso che gli adolescenti che fanno un uso prolungato dei social media (più di quattro ore) registrano punti significativamente più alti nelle scale, redatte dai ricercatori, relative ai livelli della manipolazione fotografica e il controllo dell’immagine, nonché nella scala relativa all’ansia riguardo al proprio aspetto, e infine anche più bassi in termini di stima del proprio corpo. Insomma, più tempo sui social equivale a una manipolazione più frequente, a maggior controllo dell’immagine nelle foto e a più ansia.
Gli effetti negativi delle nuove tecnologie sulle giovani menti sono dunque palpabili, i ragazzi stessi se ne stanno accorgendo e non solo in America: anche in Italia sono sorte delle iniziative emulatrici del Luddite Club: gruppi che si riuniscono per trascorrere qualche ora in compagnia, discutendo dei problemi legati all’uso compulsivo di smartphone e computer.
È necessario imparare a conciliare lo sviluppo delle forme di connessione “online”, che sempre di più si presentano come strumenti indispensabili nella nostra vita, al recupero di una dimensione “offline” della quotidianità, maturando la consapevolezza che esiste il rischio di essere assorbiti dalla (non) realtà virtuale.
