Muore l’ultima schiava sessuale in Taiwan
di Emilia Casella
Con il termine comfort women si intende il sistema di schiavitù sessuale tra gli anni ’30-40 attuato dal governo giapponese. La morte dell’ultima vittima Taiwanese riapre nuovamente il dibattito sulle responsabilità.
È morta lo scorso 10 maggio 2023, l’ultima tra le “comfort women” Taiwanesi. La donna, il cui nome non è stato reso noto per volere della famiglia, aveva 92 anni. Ad annunciarlo è stato il ministro degli Affari Esteri Jeff Liu, con il permesso della “Taipei’s Women’s Rescue Foundation”.
Le “comfort women” o ianfu (慰安婦) o, tradotto in italiano, donne di conforto erano donne che venivano costrette ad appagare sessualmente i soldati dell’Esercito Imperiale Giapponese durante il decennio 1932-45, periodo in cui culmina l’azione colonizzatrice del paese.
Sessanta donne negli ultimi anni a Taiwan hanno denunciato gli atti, ma l’associazione ne conta circa 2000. In generale, non vi è una stima ufficiale in quanto questa piaga ha colpito tanti altri paesi come la Cina, la Corea del Sud, le Filippine, Tailandia, Vietnam, Malesia, Indonesia ma anche alcune donne olandesi nelle Indie Orientali Olandesi. Inoltre si ipotizza che molte delle documentazioni siano state fatte sparire dagli stessi militari, coscienti dell’incombente sconfitta da parte delle forze dell’Alleanza.
Questo sistema di vera e propria schiavitù era stato architettato dai gerarchi imperialisti per far sì che i soldati non commettessero stupri di guerra, in massa. Secondo altri storici fu fatto anche per evitare il malcontento e, quindi, rappresaglie da parte dei militari e limitare al contempo le malattie veneree. Motivazioni assurde e ingiustificabili dato che rapivano o ingannavano ragazze o persino bambine, con la promessa di darle un impiego come infermiere o operaie, per poi trasferirle nei cosiddetti “centri di conforto” dove subivano ogni sorta di torture.
Nelle prime fasi, le autorità giapponesi reclutavano le donne tramite annunci, e su base prettamente volontaria. In seguito, per timore di offuscare la loro immagine dopo il clamore suscitato dalla Strage di Nanchino del 1937 e data la scarsità di volontarie, la polizia militare Kempeitai iniziò a usare metodi violenti e a cercare altrove, quindi nei territori occupati nel resto dei paesi appartenenti alla cosiddetta “Sfera di coprosperità della Grande Asia orientale”. Ad esempio, Taiwan è stato sotto il giogo giapponese dal 1895 fino al 1945. Molte tra queste donne sono state uccise o si sono suicidate, quelle sopravvissute hanno riportato gravi traumi dal punto di vista psicologico e conseguenze fisiche considerevoli come infertilità, infezioni, mutilazioni.
La storia non ha avuto sin da subito il riconoscimento che merita. In effetti, tra le atrocità commesse è passata in secondo piano, dopo la Strage di Nanchino e l’Unità 731. A ciò va aggiunto il fatto che le poche donne sopravvissute hanno preferito tacere per evitare ripercussioni e per la vergogna. Innegabile l’influenza del confucianesimo per cui il sesso prematrimoniale compiuto dalle donne andava punito con il suicidio e, nel caso scegliessero di vivere, diventavano paria, quindi delle reiette della società.
Il governo giapponese nel 1965, si è mostrato disponibile a pagare un indennizzo verso le donne coreane che avevano sofferto nei bordelli militari. Solo nel 1994 vennero poi anche riconosciute le sofferenze delle donne di altre nazionalità con la creazione del Fondo Donne Asiatiche. L’anno successivo, il 1995, in occasione del 50esimo anniversario dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, anche il Primo Ministro, del Partito Socialista, chiese ufficialmente scusa, replicando il discorso pronunciato dall’ex premier Kiichi Miyazawa nel 1992 e la dichiarazione del segretario generale Yohei Kono del 1993.
In tempi recenti invece la situazione si è nuovamente intorbidita, specie dopo l’ascesa a Primo Ministro di Shinzo Abe che tenne un discorso nel 2007 in cui negò la responsabilità del governo giapponese. Da allora, i rapporti diplomatici, specie con la Corea del Sud, sono peggiorati. Nel 2015, lo stesso Shinzo Abe si scusò a nome del Giappone e promise 1 miliardo di yen per i risarcimenti, raggiungendo uno storico accordo tra Giappone e Corea. L’installazione di una statua in memoria delle comfort women di fronte all’ambasciata Giapponese nel 2016 ha però riacceso le inimicizie.
Dopo anni di passi falsi, per ora sembra si sia trovato un compromesso tra Giappone e Corea del Sud, nel 2021 Kishida ha confermato la posizione di scuse da parte del governo giapponese. In Taiwan invece si lotta ancora per ricevere dei risarcimenti ufficiali.
Infine, non va sottovalutato il livello d’insegnamento nei riguardi di questi eventi nelle scuole giapponesi. È da anni che si parla infatti di come i manuali di storia selezionati cerchino di dissimulare o nascondere quanto successo. Non è un segreto che Shinzo Abe abbia avuto stretti legami con l’organizzazione ultranazionalista e conservatrice Nippon Kaigi, i cui progetti celano una forte, e inammissibile, tendenza al negazionismo storico. In questi casi è sempre l’istruzione a risentirne. Per questo motivo, l’azione delle fondazioni o le interviste o le statue raffiguranti queste donne le cui vite sono state brutalmente stroncate, lasciate alla mercé di aguzzini senza rispetto né coscienza, sono fondamentali.
Si tratta di una pagina oscura della storia dell’umanità, purtroppo meno nota in Italia rispetto alla Shoah ma egualmente orribile. Spesso non bisogna andare neanche troppo indietro nel tempo, dato che purtroppo sembra starsi verificando lo stesso scenario di stupri e violenze attualmente anche in altri parti del mondo, come in Ucraina, ad esempio.
In un’epoca in cui dilaga il revisionismo storico e le fake news sono all’ordine del giorno, è importante conservare ogni testimonianza dal passato e ogni singola morte deve essere vissuta come una perdita per la collettività intera.
