Eco-vandali: quando imbrattare diventa protesta
di Emilia Casella
Eco Vandali. Questo è il nome con cui vengono chiamati. Ma esattamente chi sono? Attivisti che commettono atti di vandalismo, a discapito di beni culturali, artistici e storici.
È successo a Roma, il 6 maggio 2023, alla fontana dei Quattro Fiumi a piazza Navona, le cui acque si sono chiazzate di nero a causa del carbone vegetale diluito versato dagli esponenti di Ultima Generazione. Si sollevano nuove richieste di maggiori pene e l’indignazione proviene sia dal Sindaco della Capitale, Roberto Gualtieri, che dal Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.
Si ripercorrono gli stessi copioni accaduti altrove: a Firenze con la vernice sul Palazzo Vecchio il 17 marzo 2023 o a Milano sulla statua equestre di Vittorio Emanuele II in piazza Duomo il 9 marzo o il 2 gennaio su Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica, per mano di altri attivisti di Ultima Generazione. Ma la goccia ad aver fatto traboccare il vaso è stata quella nello scorso mese, il 1° Aprile, giorno in cui un gruppo di tre persone, sempre tra le file di Ultima Generazione, ha rovesciato il carbone nelle acque della fontana Barcaccia di Piazza Di Spagna, di nuovo a Roma.
Questo evento ha provocato una forte reazione da parte di Fratelli d’Italia che, il 10 aprile, ha proposto un disegno di legge, il cui firmatario è Marco Lisei, per rafforzare le misure in tutela del decoro, aggravando le sanzioni contro chi prova a danneggiare i monumenti. Si è parlata di una vera e propria “guerra”.
Non si può negare che per ripulire i monumenti, si sono usate ingenti quantità di acqua e denaro. Specie nel caso delle fontane, si è parlata di una “tragedia artistica” sfiorata grazie alla tempestività delle forze dell’ordine e di Acea in quanto il nero sarebbe potuto penetrare nelle parti più porose e rovinare irrimediabilmente il marmo. Danneggiare il patrimonio artistico non dovrebbe essere un’opzione contemplabile.
In realtà, però tutto risulta più complicato di così, anche se è sempre più facile “guardare al dito e non alla Luna”. È naturale indignarsi quando a essere toccati sono dei beni culturali di estrema importanza storica e artistica. Bisognerebbe però cercare di essere più obiettivi: senza un ecosistema funzionante e con un mondo a pezzi, dilaniato da frane, terremoti, maltempo, siccità, deforestazioni, alluvioni, innalzamento del livello del mare… non ci saranno più musei da visitare né bellezze culturali di cui godere. Non si parla di previsioni apocalittiche, già nel 2022 ci sono stati tanti eventi come la siccità che ha colpito l’Europa intera o gli incendi in Spagna o, ancora, le alluvioni in Pakistan che hanno confermato la piega disastrosa verso cui si sta volgendo.
La gente si indigna e si arrabbia, additando questi eco vandali come i nemici dell’ordine pubblico. Forse però sarebbe bene guardare all’immagine d’insieme, allargare la prospettiva. Qual è il vero problema? I vandali o le multinazionali, che spesso operano il “greenwashing” o il cosiddetto “ambientalismo di facciata” (ossia fingono di adottare misure attente all’ambiente), i trattati e protocolli non rispettati? Specialmente nei casi in cui il danno è reversibile, come a Firenze o Roma in quanto gli attivisti, o meglio “cittadini preoccupati” come preferiscono essere chiamati, hanno più volte sottolineato di aver usato prodotti lavabili o quando alcuni membri di “Just Stop Oil”, lo scorso Ottobre 2022 al National Gallery a Londra, hanno rovesciato una zuppa di pomodoro sulla quarta versione dei “Girasoli” di Van Gogh, protetto in realtà dal plexiglass.
I gesti illegali non vanno fomentati e si sa “due torti non fanno una ragione”. La soluzione più ragionevole data è quella delle proteste pacifiche, delle raccolte firme, delle campagne per diffondere vademecum sui comportamenti quotidiani da seguire. Eppure tutto ciò si sta già facendo. Ma è abbastanza?
Gli attivisti che decidono di macchiare la loro fedina penale lo fanno per uno scopo ben preciso: dare maggiore visibilità alla causa. Purtroppo però ciò si trasforma in un inevitabile circolo vizioso in quanto le modalità scelte allontanano indubbiamente le persone già di per sé scettiche. È altresì vero che non finiscono per allontanare anche quelle già coscienziosamente impegnate, nel quotidiano, a ridurre il loro impatto ambientale. Non sarà lo sfregio temporaneo di un’opera d’arte a portarli alla rinuncia di un futuro.
Queste manifestazioni sicuramente ampliano il dibattito ed è veramente il momento di chiedersi se sia davvero possibile parlare di salvaguardare il patrimonio culturale, se non ci sarà una Terra su cui poter vivere in maniera dignitosa. Secondo la psichiatra e attivista Lise Van Susteren, i cambiamenti climatici e la prospettiva di una Terra il cui futuro è incerto, stanno avendo effetti considerevoli sulla psiche dei giovani. Non è un caso se i membri di Ultima Generazione fanno riferimento alla disperazione.
A conferma di ciò, il report di CLIMATE-ADAPT, piattaforma nata dalla collaborazione tra la Commissione Europea e l’Agenzia Europea Ambientale (EEA), esplica come i cambiamenti climatici stanno causando la proliferazione di disturbi, disagi e il rischio di sviluppare malattie mentali e portare, in ultima istanza, al suicidio.
La realtà resta spezzata da una sola domanda «Il fine giustifica i mezzi?» «Ai posteri, -se ci saranno- l’ardua sentenza»
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