Primo maggio e morti bianche
di Emilia Casella
“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Così enuncia la Costituzione nel primo articolo. E ancora nell’art. 41, “l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.”. Eppure, una Repubblica che fallisce nel proteggere i suoi cittadini è degna di chiamarsi tale?
I casi più recenti, risalenti al 28 aprile, riportano a San Gimignano, in Toscana, e a Pioltello, in Lombardia. Due province distanti e un unico fatale esito: la morte. È un crudele scherzo del destino che sia accaduto nella stessa giornata dedicata alla sicurezza sul lavoro, istituito dall’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) nel 2003. Ma ciò fa capire quanto ormai sia una piaga che si propaga e che non fa sconti, colpendo sia anziani che giovanissimi. I morti si accavallano, creando una montagna insormontabile.
La realtà appare così tracciata secondo l’INAIL, ossia l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro:
Nel 2022 le denunce di infortuni sono aumentate del 25,7% rispetto al 2021, da imputare principalmente ai contagi da COVID-19; così come le patologie di origine professionale. Il presidente dell’INAIL Franco Benotti dichiara che bisogna cercare di stroncare il numero 1000 che ormai da troppi anni segnano le pagine della cronaca in Italia. L’anno scorso il conteggio delle vittime è stato 1090, numeri alti considerando la media europea. Quest’ultima, stando all’ultimo rapporto complessivo del 2018 da EUROSTAT, è del 1,77 mentre in Italia è del 2,25. Le categorie lavorative più a rischio, stando a ISTAT, sono l’agricoltura, l’edilizia, i trasporti, l’industria e la sanità.
Secondo l’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre, per comprendere appieno la portata del fenomeno, bisogna considerare l’indice di incidenza della mortalità, ossia il rapporto degli infortuni mortali rispetto alla popolazione lavorativa regionale e provinciale. Nel 2022 l’indice di incidenza medio nazionale è stato di 35 lavoratori ogni milione di occupati.
Per quanto riguarda quest’anno, il bollettino dell’INAIL sul trimestre “gennaio – marzo” mostra 196 vittime. I dati sono in aumento rispetto al trimestre scorso in cui risultavano essere 189. Una flessione interessa le denunce di infortuni, molto probabilmente dovuta al calare dell’influenza del COVID-19. Alcune regioni hanno visto più feriti e vittime rispetto ad altre, va sottolineato quindi il Veneto che dal 2021 registra un continuo aumento dei casi. Secondo la direttrice Enza Scarpa dell’INAIL – Veneto, ciò va imputato alla mancanza di coordinazione tra la velocità del mercato e il tempo di preparazione dei singoli lavoratori.
Le isole e poi il Sud, in particolare la Campania, hanno subito il calo maggiore, seguito poi dal Centro e solo del 17 % nel Nord-Est. Si riconferma il fatto che ad essere più in pericolo sono gli uomini in quanto svolgono mansioni più impegnative fisicamente e gli stranieri, mentre le categorie più a rischio per età sono le persone comprese nella fascia 55-64. Nella graduatoria del nuovo anno per settore, il maggior numero di denunce arriva dalle Attività Manifatturiere (16.382), seguita poi, con ampio margine, dalla Sanità (6.929), dalle Costruzioni (6.854), dai Trasporti (6.826) e dal Commercio (6.560).
Per ora, la procedura da seguire è segnata nel Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (TUSL) emanato dal D.Lgs n.81 del 9/04/2008. Esso presenta un sistema di gestione della sicurezza e della salute in ambito lavorativo preventivo e permanente, attraverso quattro punti cardine, ossia la segnalazione dei fattori e fonti del pericolo; la riduzione, per tendere sempre al minimo del rischio; l’ispezione e costante controllo delle misure preventive messe in atto e, infine, l’elaborazione di una strategia aziendale che comprenda tutti i fattori (come le tecnologie o le condizioni operative) di un’organizzazione.
Recentemente però, precisamente il 18 aprile 2023, è stato approvato dall’assemblea plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, il “Regolamento Macchine” per un controllo più capillare, uniforme e quindi efficace. Infatti questo nuovo decalogo prende in considerazione anche l’uso delle nuove tecnologie, offrendo uno spazio all’interno del dibattito agli emergenti contesti lavorativi, come l’uso dell’intelligenza artificiale nella prevenzione di malfunzionamenti e anomalie. Il Vicesegretario Generale della Confederazione europea dei sindacati Claes-Michael Stahl si è detto soddisfatto del lavoro svolto in quanto si sta andando verso la giusta direzione, ossia il “Zero death at work”.
Meno ottimiste le reazioni dei sindacati italiani come UIL che ritengono questo un trend inaspettato da parte dell’Unione Europa che invece per 20 anni, così accusano, ha ignorato la tematica, operando tagli su tagli sui numeri degli ispettori del lavoro. Si dicono comunque favorevoli alle misure, seppur non senza riserve, e con la convinzione che assumere più ispettori garantirà maggiore sicurezza, riuscendo a salvare vite.
Al di là delle controversie, la sicurezza sul lavoro si conferma essere un aspetto essenziale per ogni organizzazione aziendale. È necessario formare e aggiornare costantemente i datori di lavoro affinché possano tutelare al meglio i loro dipendenti. Non può però considerarsi un problema solo aziendale ma collettivo. Stando a quanto enuncia il D.lgs 81 del 2008, “ciascuno deve ritenersi per intero destinatario dell’obbligo giuridico di impedire l’evento infortunistico”.
In un certo senso, questo dovrebbe indurre a smettere di usare la terminologia “morte bianca”, in quanto “bianca” allude all’assenza di un responsabile diretto. L’espressione più corretta dovrebbe essere omicidio del lavoro dato che quello che manca in Italia è una vera e propria cultura della prevenzione. La sicurezza deve essere un “impegno comune”, una priorità del governo, in quanto influenza lo Stato nelle sue fondamenta.
