Calo demografico e sostituzione etnica

di Gianluca Gautieri

Più di un milione di nascite nel 1964, durante il boom economico, ma nel 2022 ne abbiamo registrate appena 400mila. Il calo demografico non è un fenomeno circoscritto alla sola Italia, ma riguarda in toto l’Europa e qualsiasi paese sviluppato (Cina inclusa).


Le cause non sono ben riconducibili ad un singolo fenomeno, bensì scindibili in una pluralità di agenti che condizionano la natalità. Parliamo di un fenomeno antropologico di ardua comprensione, nel quale ci imbattiamo già nel semplice studio della storia.


Una tendenza da registrare è senz’altro l’aumento delle nascite nei paesi in via di sviluppo, e l’assestamento di queste alla conclusione di tale processo. L’Italia si trova proprio in questa seconda fase, ed il calo delle nascite, registratosi specialmente a partire del 2009, è senz’altro in parte riconducibile alle condizioni lavorative precarie che ritardano, ed in certi casi annullano, le intenzioni nuziali delle giovani coppie (la data del peggioramento di questo trend negativo, è non a caso posteriore alla crisi bancaria del 2008).


Il calo della natalità, ed il conseguente invecchiamento della popolazione, è destinato a creare un buco nei conti pubblici italiani. Oltre all’ovvietà del calo della produttività, con il conseguente peggioramento del rapporto debito pubblico/PIL, il problema principale risiede nell’erogazione delle pensioni.


L’assetto previdenziale italiano, sistema a ripartizione (le pensioni vengono pagate dai lavoratori attivi), per essere sostenibile, secondo Pasquale Tridico intervistato da la Stampa, prevederebbe un rapporto di 1,5 lavoratori ogni pensionato, ma, citando i dati dello stesso presidente dell’INPS, raggiungeremo entro il 2050 un rapporto di 1:1, assolutamente insostenibile per le casse dello stato.


Non tutti disporranno dunque di un sostentamento previdenziale a meno di una riforma strutturale del sistema. Parliamo dello stesso problema che, in Francia, ha condotto alla contestatissima riforma delle pensioni di Macron, accostabile alla nostra legge Fornero, a dimostrazione dell’internazionalità del problema demografico.


Senza addentrarci nel merito delle cause del calo natalizio, che esimono dalle competenze di chi vi scrive, è doveroso ragionare su una eventuale soluzione per risolvere o quantomeno attenuare la problematica. Il governo Meloni ci offre diversi spunti a riguardo, non solo in materia di incentivi alla natalità, ma anche dell’attivazione di quella riserva di lavoratrici donne inattive, che aumenterebbero il numero di contributori. Proposte coerentissime ed auspicabili, ma di difficile attuazione (è facile a dirsi, a farsi un po’ meno). Oltretutto i benefici non sarebbero valutabili sul medio-breve periodo, per varie motivazioni nelle quali non mi addentro per non complicare ulteriormente il testo.


Giungiamo dunque al nodo immigrazione. Lo stesso governo, a pagina 124 del DEF promulgato la settimana scorsa, registra un eventuale miglioramento dei conti pubblici favorito dal maggiore afflusso di migranti, tramite un grafico che illustra la relazione fra la percentuale debito/PIL e l’immigrazione netta sul lungo periodo. Il fenomeno è facilmente esplicabile nell’apporto positivo dei migranti che giungono già in età lavorativa, e possono dunque da subito pagare i contributi per il sostentamento dei pensionati. Questa opinione è condivisa anche dallo stesso Pasquale Tridico.


Quella che, nella giornata di ieri, è stata dal ministro Lollobrigida impropriamente chiamata “sostituzione etnica”, non è forse così tanto una brutta cosa.

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