L’omicidio che introdusse il reato di associazione mafiosa

di Gianluca Gautieri

La storia dell’antimafia è colma di personaggi che ne hanno accresciuto l’efficacia, ed ognuno di essi va ricordato, in ottemperanza di quei valori che la stessa antimafia difende. Pio La Torre è uno di loro.


Iscrittosi al Partito Comunista Italiano nel 1945, onorò per anni la causa della lotta contadina in Sicilia, prima in territorio isolano, poi dai palazzi del potere a Roma. Fu eletto per tre volte deputato, la prima di queste nel ’72. Proprio alla camera si distinse per il suo impegno nella commissione parlamentare antimafia, in cui fu redattore della relazione conclusiva di minoranza.


La svolta si tenne nell’autunno del 1981, periodo in cui La Torre decise di ritornare in Sicilia per dedicarsi alle due battaglie a cui più teneva: il pacifismo contro il progetto del governo di trasformare l’aeroporto di Comiso in una base missilistica, e l’antimafia.


Per comprendere appieno l’apporto contro il fenomeno mafioso di La Torre è necessario dedicarci al contesto. L’inizio degli anni ’80 è un periodo in cui la lotta alla criminalità organizzata è sostanzialmente appena cominciata, fra le urla delle vedove e le righe insanguinate dei giornali. Avevano appena perso la vita i vari Mattarella, Costa e Terranova, e la gente aveva solo da poco cominciato ad accorgersi che il termine “Mafia”, non si riferisse soltanto al brigantaggio della coppola e della lupara.


L’ignoranza non apparteneva soltanto al popolo e alla politica, ma riguardava anche l’ordinamento giuridico. Non esisteva legge che quantomeno citasse la mafia, e il diritto era del tutto ignaro dell’esistenza del fenomeno. Il primo ad accorgersi di questa mancanza, e della necessità di introdurre una legge per contrastare la criminalità organizzata, fu Pio La Torre.


Nella seduta alla Camera dei deputati del 31 marzo 1981, La Torre presentò una proposta di legge, volta all’introduzione di un provvedimento penale speciale verso i crimini di mafia, simile alla legislazione anti-terrorismo preesistente. Alla formulazione tecnica parteciparono due giovani magistrati della Procura di Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nonostante la proposta fosse illuminante e ben accolta, l’iter legislativo si arenò in parlamento.


Il prossimo passo della storia ebbe luogo a Palermo, alle 9:20 del primo maggio 1982. Pio La Torre si trovava a bordo della 132 guidata da Rosario Di Salvo, un compagno di partito. I due, mentre si dirigevano verso la sede del PCI in Corso Calatafimi, furono sopraffatti dal rosso, non del partito, ma del loro stesso sangue. “Agguato omicida al compagno La Torre/ cade al suo fianco il compagno Di Salvo” L’Unità, 1° maggio 1982.


Quest’avvenimento convinse la classe dirigente che qualcosa andava fatto, e così fu. L’allora ministro degli Interni Virginio Rognoni, si fece carico dell’approvazione della legge n. 646 del 13 settembre 1982, nota come legge “Rognoni-La Torre”, che introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione del reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali.


Parliamo chiaramente della proposta di Pio La Torre, presentata l’anno precedente. Essa è stata fondamentale nella lotta alla mafia, nonostante ad oggi susciti un certo dibattito tra i giuristi riguardo la sua legittimità. Il deputato non fu in grado di assistere all’approvazione della norma, per la quale fu forse necessario il martirio del suo cadavere martoriato, disteso sull’asfalto.


Al funerale di La Torre, oltre alle massime eminenze della classe dirigente e dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, era presente anche Carlo Alberto Dalla Chiesa. Comandante dei carabinieri, di lì a pochi giorni sarebbe diventato prefetto di Palermo, impiego che gli costò la vita sei mesi più tardi. Dalla Chiesa, La Torre ed una chilometrica lista mortuaria, simboli di una battaglia mai vinta, ma che ancora oggi combattiamo ricordando chi lo ha fatto prima di noi.

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