L’inchiesta del Guardian sulla famiglia reale e la schiavitù
di Matteo Natalizio
I fatti risalgono a quasi 4 secoli fa, in particolare il documento che incrimina Re Guglielmo III è del 1689 e consiste nel trasferimento di £1000 in azioni della Royal African Company, una compagnia coinvolta nel commercio degli schiavi. Azioni trasferite dal Re al vice governatore della compagnia, Edward Colston. Negli ultimi anni Colston ha subito un revisionismo storico molto aggressivo, come dimostrato a Bristol dove è stata abbattuta la statua in suo onore.
Il Re non ha commentato il documento ma ha reso noto che, assieme alla Historic Royal Palaces (HRP), co-sponsorizza un progetto di ricerca volto allo studio dettagliato delle attività della Corona nella tratta degli schiavi durante il 1600 e il 1700.
Per Carlo il problema è serio e a dimostrarlo ci sono le parole espresse un anno fa in occasione di una visita in Ruanda.“Non posso descrivere la profondità del mio dolore personale per la sofferenza di così tante persone, mentre continuo ad approfondire la mia comprensione dell’impatto duraturo della schiavitù”. Ci sono state altre occasioni durante le quali ha definito la schiavitù “Terribile atrocità” o “il periodo più oscuro”.
La ricerca, partita in Ottobre 2022, gode del pieno appoggio della Casa Reale, dimostrato con l’accesso alla documentazione necessaria e conservata negli Archivi Reali e nella Collezione Reale. Va evidenziato come tale posizione sia in contrasto rispetto all’approccio avuto dalla Regina Elisabetta II, molto meno aperta al dialogo sul tema.
Le Critiche
Per molti però l’impegno e l’appoggio dimostrato non basterebbero, vengono richieste scuse ufficiali che però non sono ancora arrivate. Esprimere dolore generico verso la condizione degli schiavi non equivale a riconoscere il ruolo della Monarchia nella tratta degli schiavi. L’impegno maggiore si dovrebbe concretizzare in una squadra di esperti per valutare la portata del commercio degli schiavi e il guadagno che ciò ha portato alla Monarchia nel corso del tempo.
Riporto le parole del dottor B. Newman, storico della Virginia Commonwealth University e scopritore del documento che ha dato il via all’inchiesta del Guardian. “Non c’è dubbio che i secoli di investimenti nella schiavitù africana e nella tratta degli schiavi hanno contribuito enormemente a costruire lo status, il prestigio e la fortuna della famiglia reale di oggi. I profitti della tratta degli schiavi e delle industrie costruite sul lavoro degli schiavi, a loro volta finanziarono l’espansione dell’impero, che generò ulteriore ricchezza per la Gran Bretagna e le sue famiglie reali.”
Le ricchezze poi sono alla base di un più ampio discorso sulla politica delle riparazioni, esclusiva degli Stati Uniti d’America ma che va di pari passo alla storia degli schiavi.
Mentre la posizione di attivisti e dei rappresentanti dei paesi con un passato colpito dalla schiavitù britannica è sostanzialmente improntata verso la richiesta di scuse ufficiali che, con questi ultimi avvenimenti, sembrano possibili, se non vicine.
Il Parere di chi vi scrive
Sebbene questo sia un argomento molto polarizzante nel panorama politico odierno, abbiamo da un lato chi è pronto a far chiarezza mentre dall’altro ci si limita a “chiedere di più”.
Questo chiedere di più però, a mio personalissimo avviso, nasconde un retropensiero molto lampante. Per molti il Re non deve chiedere scusa per ciò che i suoi avi hanno fatto, ma perché la attuale ricchezza in parte deriva da quelle pratiche barbariche. Ancora una volta si danno colpe/non-colpe che sono difficili da valutare. Vi è il pensiero secondo il quale le colpe del passato vengono ereditate così come i soldi, cosa alquanto dannosa per lo stato di diritto.
In America vengono abbattute le statue di chi possedeva schiavi – tranne quelle delle icone come George Washington – e vengono espressi ragionamenti di condanna verso i vecchi padroni, applicando illogicamente la nostra realtà sociale e i nostri parametri a personaggi di epoche completamente diverse dalle nostre – di questo passo non avremmo icone storiche da ammirare, da Giulio Cesare a Leonardo Da Vinci e così via – aizzando contro i morti l’odio dei vivi.
La novità che rende interessante la questione è però la posizione assunta da Re Carlo che, sapientemente, cambia strada rispetto alla consuetudine della madre e apre le porte – ma non troppo – alle questioni spinose che è chiamato a gestire. Una risposta del genere non era scontata, e la posizione di chi critica si è rivelata “in parte soddisfatta”, lasciando solo il “chiedere di più” rispetto alla valanga di odio che generalmente viene riversata sui potenti. Ecco, l’odio in questo caso viene mitigato e non si eccede in atti pratici che aprono le porte a revisioni storiche e speculazioni. In questo caso, a differenza della Regina Elisabetta II, Buckingham Palace ha l’occasione per non nascondere lo sgradevole passato sotto il tappeto del mutismo.
