Il punto sulle proteste in Israele

di Gianluca Gautieri

A seguito delle infuocate proteste delle ultime settimane, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato il posticipo della contestatissima riforma della giustizia. La società civile teme che il provvedimento possa ledere la tenuta della democrazia israeliana, che non è però priva di imperfezioni.

Lo stato di Israele è ufficialmente privo di una Costituzione, atta a garantire il bilanciamento dei poteri tra gli apparati dello stato. i diritti dei cittadini sarebbero però garantiti dalle Basic Laws, leggi fondamentali che il parlamento deve soddisfare durante l’iter legislativo. Il nodo risiede nell’organo che garantisce il rispetto di tali regole, la Corte Suprema. Essa ha la possibilità di interrompere il processo legislativo o di modificare leggi a proprio piacimento, senza consultare il parlamento.

È evidente che nello stato ebraico ci sia uno squilibrio di potere tendente verso l’autorità giudiziaria, che scavalca l’organo legislativo. Una riforma della giustizia sarebbe dunque ragionevole, ma non alle condizioni del premier Netanyahu.

Se allo stato attuale la bilancia pende eccessivamente verso la Corte Suprema, a seguito della riforma si otterrebbe l’estremo contrario, un pericoloso squilibrio di poteri favorevole al legislatore. Il provvedimento prevede che i giudici Supremi siano a maggioranza di nomina politica e, soprattutto, che il parlamento possa annullare i provvedimenti della Corte, di fatto esautorandola quasi del tutto.

Ne desumiamo che la tenuta della democrazia israeliana sarebbe realmente a rischio, dato che, a queste condizioni, il parlamento potrebbe a tutti gli effetti ignorare le leggi fondamentali, e potenzialmente decretare una svolta autoritaria nel paese.
È inoltre opinione diffusa che la riforma sia anche una questione personale per Netanyahu. Il primo ministro è infatti protagonista di più contenziosi legali per corruzione, che sarebbero risolti proprio grazie alla riforma. Per accedere all’incarico di governo, il premier aveva sottoscritto una dichiarazione di conflitto di interessi in cui si impegnava a non portare avanti riforme nell’ambito giudiziario.

È ormai da più di un mese che il paese insorge contro il governo. La situazione è peggiorata tra domenica e lunedì, dopo che il primo ministro aveva licenziato il ministro della difesa Yoav Galant, critico con la riforma. Siamo al termine di 24 ore di caos, in cui il paese si è letteralmente paralizzato a causa di uno sciopero generale che ha coinvolto un gran numero di settori. Cruciale è stata l’adesione dei riservisti dell’esercito allo sciopero, che ha costretto il premier a rinviare il provvedimento in nome della “responsabilità nazionale” e per evitare “una guerra civile”.

Netanyahu rallenta dunque il processo riformatore per mantenere l’unità del paese, il che potrebbe però sacrificare anche la tenuta del governo stesso. Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, nonché leader del partito Potenza Ebraica, aveva minacciato le dimissioni dicendosi pronto ad aprire la crisi di governo, salvo poi accettare il congelamento della riforma. Ma il dissenso in seno all’esecutivo resta comunque alto. Forte l’attacco del ministro Bezalel Smotrich, leader di Sionismo Religioso. “Non dobbiamo fermare per alcun motivo la riforma. Siamo la maggioranza – ha affermato annunciando la sua presenza alla manifestazione della destra alla Knesset -, non dobbiamo arrenderci alla violenza, all’anarchia, agli scioperi selvaggi, alla disobbedienza. Non consentiremo che ci rubino i nostri voti e il nostro Stato”.

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